Scorrete lacrime, disse il poliziotto - Philip K. Dick

"Vivere significa essere cacciati..."

Scorrete lacrime disse il poliziotto biforcazioni.blogspot.comTempo fa, mi è capitato di leggere una suggestiva metafora che Antonio Damasio, neurologo di fama mondiale, ha riportato in un suo libro su Spinoza, a proposito del rapporto simbiotico che lega la mente al corpo. Gran parte dei luoghi comuni su quest'argomento, basati sulla vecchia visione cartesiana contestata con argomenti filosofici proprio da Spinoza, partono infatti dall'assunto che la relazione mente - corpo si sostanzi in una sorta di rapporto comando - obbedienza. Il secondo si troverebbe, cioè ad eseguire ciò che comanda la prima.
Al contrario, Damasio, seguendo l'intuizione spinoziana e suffragando la sua teoria con una serie di importanti ricerche in campo neurologico, dimostra che la quasi totalità dei nostri comportamenti, siano essi intenzionali o meno, possono essere spiegati dalla nostra costituzione biologica e dalla ricezione degli stimoli della realtà attraverso il nostro corpo. Di conseguenza, ogni cosa che facciamo o pensiamo potrebbe essere l'esito di miriadi di passaggi reconditi e stimoli impercettibili di cui difficilmente potremmo arrivare ad avere piena coscienza. Ecco è a questo punto che Damasio, scrive questa metafora che è appunto il rovesciamento completo della posizione cartesiana: "rimuovere la presenza del corpo nella mente equivale a tirar via il tappeto sotto quest'ultima".
Ho steso questo lungo e complicato preambolo perché il geniale libro di Dick corrisponde appunto a questa impresa: tirar via il tappeto sotto la mente e sperimentare cosa accade.
Ogni individuo, infatti, nella sua limitata esistenza, vive costretto in uno spazio/tempo, e quello è l'unica fonte di tutte le sue gioie e le sue maledizioni; ma che succederebbe se la sua mente potesse prescindere dagli input del proprio corpo e quindi costruire essa stessa lo spazio che quest'ultimo si trovi ad abitare? La più psicotica e allucinante delle realtà, potrebbe essere forse la risposta. Oppure, più semplicemente, un libro di Philip Dick.
In uno dei mondi possibili Jason Taverner è un affermato conduttore televisivo, cantante, showman, in un altro la sua esistenza non è comprovata da alcun documento burocratico, e, braccato dalla polizia, è costretto a fuggire e nascondersi. A complicare l'ordito dello scrittore americano, c'è il fatto che Jason Taverner ha una sola e medesima coscienza che vive e conosce entrambe le situazioni in maniera concomitante, fino alla scoperta che la manipolazione della realtà dipende dall'alterazione dello stato psico-fisico di un'altra persona. L'assunzione di una droga speciale da parte di una donna, infatti, ha originato la realtà parallela che il nostro protagonista si è trovato a vivere. Taverner può tornare alla sua popolarità, ma noi lettori non possiamo non continuare ad interrogarci su quale delle due situazioni sia la realtà profonda, forse perché intuiamo che in fondo niente è reale: né l'incubo poliziesco, né, tanto meno, la finzione del mondo spettacolarizzato dell'intrattenimento televisivo.
Ma l'incubo vero che Dick occulta e rivela dall'inizio alla fine del romanzo è quello di una vita mentale completamente slegata dal destino del proprio corpo, che non significa solo sognare di vivere altre vite, ma anche e soprattutto, vivere aldilà del principio di autoconservazione, che del corpo è il primo e unico fondamento, e quindi procrastinare la sfida a perdere con la morte. Si sopravvive alla morte solo uscendo dal proprio guscio, oltrepassando i propri limiti, e cioè solo dopo aver amato, se, come ammette Dick, la sofferenza è l'esito finale dell'amore, poiché è il marchio dell'amore perduto. Oppure si può sopravvivere anche e soprattutto attraverso la narrazione, se si ammette che ogni sofferenza d'amore perduto si trasfigura necessariamente in letteratura. Niente mi toglie dalla testa che Dick abbia scritto questo romanzo negli stessi giorni in cui maturava il suo distacco dalla seconda moglie (le date sembrano combaciare perfettamente). In questo senso, bypassare le ragioni del corpo serve a Dick per affermare quelle più alte della letteratura, l'unico luogo, forse, in cui il dolore sembra apparentemente riunirti con ciò che hai perso.


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