Raining days

Uscì dalla doccia come se tutto il dolore fosse stato lavato via con l'acqua. Non era così e lo sapeva, una strada lastricata di spettri e rimpianti si parava ora di fronte a lui, ma cercò di rimanere saldo di fronte a quella donna carnefice almeno per il tempo dell'addio. Cercò di formularlo come una maledizione profetica che voleva intendere il contrario di quello che proferiva: "Spero che mai  in futuro nessuno faccia a te ciò che tu oggi hai fatto a me." Poi vicino a rompere la voce: "Mi hai spezzato il cuore". Lo sguardo di lei gonfio da una notte di pianto lo abbracciava, avrebbe voluto alleviare in ogni modo quel male, ma sapeva bene che ogni sua parola sarebbe stata inutile. "Qualsiasi cosa succeda, io preferisco sapere", queste erano state le parole proferite da lui tanto tempo prima, e lei aveva rispettato le sue volontà. Aveva scelto di non decidere. Cercò di rimanere più freddo possibile mentre la esortava a raccogliere le sue cose e portarle lontano, via per sempre, nel più breve tempo possibile. Quegli occhi raggelanti che lo guardavano, erano gli stessi che aveva amato? E quel cuore era lo stesso? Da quale scalpello e martello era stato forgiato? Quale tremenda mano aveva confuso e annodato insieme due esseri tanto diversi?
Rivide la giovane nei giorni successivi, i suoi abbracci non scaldavano più come il sole dell'adolescenza, ripensava a quelle parole e niente più rimaneva di lei, esse cancellavano ogni sorriso, ogni palpito, ogni impeto giovanile e ogni sentimento. "Aggiungi il sorriso ad ogni tuo gesto in sua presenza, ciò ingiungerà a scavare fra voi il profondo abisso dell'oblio". Poi, un ultimo abbraccio, Il lungo addio. Ne pronunciò ancora sei prima di non vedere più il suo volto.

L'oblio arrivò, ma la rabbia rimase scomoda compagna. Si ricordò dei suoi sei anni in un centro commerciale, sotto il periodo natalizio, il padre che gli sottoponeva una confezione regalo. Era un ping-pong da tavolo. Le parole erano ancora vivide. "Lo prendiamo?". "Non mi interessa...". Il padre guardava ancora la confezione, mentre una signora da lontano: "Le interessa?... altrimenti lo prendo io". il padre di rimando: "Lo prendiamo o lo lasciamo alla signora?", finalmente "Prendiamolo". Suo padre tracciò una sommaria e scheletrica morale che dovette coglierlo in un punto scoperto. "Quando si sta per perdere una cosa, essa assume..." eccetera, eccetera. Tanto banale da essere vera. Tanto vera da diventare banale. Il punto era ancora scoperto.
Il ritorno fu lento e affettato, caricava ogni suo gesto di tutte le prospettive future, fino a che il futuro non lo abbandonò. Frequentò altre donne, ma solo una rimaneva sua consorte simbiotica, la profonda e incontenibile rabbia. Una sera più ubriaco del solito perse il controllo della sua vettura. Cadde in un sonno profondo. Anni dopo in una stanza notturna sognò il fulgore della rabbiosa tigre e pronunciò il suo nome. Si svegliò, cercò quella donna lontana simulando l'incoscienza di un legame presente. "Ho fatto un lungo incubo" le disse quando la vide, "le onde di un mare in tempesta ti spingevano lontano da me e non sapevo come recuperarti", la donna non potendo ripetere il suo torto, replicò il tradimento: "dimentica il sogno, ora è finito. Torniamo a casa".

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