Limonov - Emmanuel Carrère

Non avevo dato troppe chance all'inizio a questo straordinario romanzo, perché avevo paura che la biografia finisse per sfumare nel piatto realismo dell'analisi storica, in quella materia in cui eccellono professori dell'ex-post o del "non poteva andare a finire che così". Niente di più lontano. Emmanuel Carrere, non rinuncia a restituire la complicazione della realtà storica, geopolitica, psicosociale della Russia e del suo rapporto col mondo occidentale, dall'inizio del secolo scorso ad oggi.
E' un romanzo che incastona molteplici piani e prospettive nel personaggio di Eduard Veniaminovich Savenko, scrittore e politico dal lungo e tortuoso corso, ma prima di tutto, spettro della disillusione che si aggira per l'Europa dopo la caduta del comunismo russo. Limonov, suo epiteto letterario, è l'istrione anarchico che sopravvive di espedienti nelle periferie dell'impero in decadenza e dei sobborghi newyorchesi, o l'autore omaggiato e magnificato dai circoli letterari di mezza Europa? E' l'eroe proletario sempre disposto a mettersi al fianco dei più deboli o l'allegro simpatizzante delle pulizie etniche di Ratko Mladic e Zeljko Raznatovic?
Carrere, in questo profondamente diverso dal personaggio che mette in scena, non si sente portatore di verità assolute, e restituisce enigmi più che certezze, astenendosi da giudizi definitivi che porterebbero necessariamente al condizionamento del lettore. Savenko, d'altro canto, ascriverebbe di certo, questo tratto ad un difetto dovuto al relativismo culturale tipico di una certa condizione borghese, ma lo spessore che Carrere restituisce al suo Limonov rischia di sorpassare le miserie umane del suo alter-ego.

Tuttavia, non c'è solo la prospettiva di un personaggio dalla sfrontata e irresistibile volontà di potenza, né quella onesta dello scrittore occidentale, che non rinuncia a inscrivere e intersecare la sua vicenda all'interno di quella del personaggio eroico che plasma, c'è la Russia dietro di loro, e con essa la vicenda del grande impero in disfacimento. La corruzione morale e politica, l'ansia di rivincita, la nostalgia, il revanscismo sono i sentimenti che nutrono la complessità di un orizzonte di frontiera e di cambiamenti strutturali, come solo dopo la caduta dell'impero romano e di quello ottomano si sia mai verificato nella storia. Un orizzonte in cui sorge un diritto basato sulla sopraffazione del più debole e in cui l'individuo che vuole emergere, deve farsi portatore di una nuova morale in cui "bisogna impostare la propria vita sull'ostilità di tutti quelli che ci circondano". Limonov può sognare autenticamente di mettersi alla testa di un esercito di losers, siano essi carcerati, omosessuali, poveri o minoranze etniche, senza provare alcuna empatia nei loro confronti, ma sposando a pieno le loro ambizioni di conquista e assoggettamento del mondo.
Perciò Savenko/Limonov è l'ombra letteraria di un personaggio più ingombrante, qualcuno che ha davvero incarnato e rappresentato politicamente le ansie dei perdenti e dei beffati dalla storia, Vladimir Vladimirovic, ex funzionario del KGB e poi sventurato tassista della Mosca esposta alla shock-economy degli anni '90. Ecco l'ultima prospettiva che emerge dal romanzo, appena prima delle ultime pagine, quella del leader russo Vladimir Putin, evocato quasi come doppelganger, per rendere ragione e concretare la missione letteraria di Limonov. O forse è Limonov a trascendere letterariamente Putin, e la biografia della sua vita a simbolizzare l'allegoria dell'intero popolo russo: "perché nessuno ha il diritto di dire a centocinquanta milioni di persone che settant'anni della loro vita, della vita dei loro genitori e dei loro nonni, che ciò in cui hanno creduto, per cui hanno lottato e si sono sacrificati, l'aria stessa che respiravano, nessuno ha il diritto di dire che tutto questo è stato una merda".

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