Biforcazioni

Titone è un giovane pescatore. Da secoli la sua famiglia vive in connubio con il mare. Suo padre e ancor prima suo nonno, salutavano Aurora dalle braccia bianche ogni mattina, quando si sollevava col suo carro dalla linea più lontana dell’orizzonte. Chi vive il mare non ripone in esso alcuna speranza, illusione, o timore, solo è allenato alla fatale accettazione dei suoi doni. Aurora è il più bello fra essi. 
Ma qualcosa di indefinito e possente scuote il cuore del pescatore mentre ogni mattina quel carro alato sfiora le nodose reti. Titone vive nella sicurezza illusoria di essere se stesso e nell’ingannevole controllo di quelle strane sensazioni che salgono dalle viscere fino alla gola.
Un capriccio di Aurora lo porta un giorno su quel carro alato: ora egli stesso è quel volo, e, smarrito in quell’atto perde la conoscenza di sé. Un riso suscita nella Dea il suo primitivo stupore. Un’allucinazione amorosa rovescia la sua ordinata esistenza: c’è una Dea accanto a lui. Salito sul carro di Aurora non può smettere di amarla. Ciò che scuote il cuore arriva dunque a spaccare le vene.
Ma questa non è una storia a lieto fine. Un altro capriccio, e Aurora chiede a Zeus, suo padre, di donare al suo amante l’immortalità, ma per una beffa del destino che combina e scombina i rapporti, si dimentica di chiedere per lui anche l’eterna giovinezza.
Il pescatore diventa, così, un vecchio eterno, finendo per suscitare solo un senso di troppo umana pietà da parte della Dea che presto lo confina lontano da sé. Ma i finali dei miti sono sempre così poco importanti, rispetto alla parabola del loro apice, laddove acquisiscono il massimo della velocità e dell’intensità. Occorre allora, tornare e fermarsi sempre fra le pieghe della metà di quelle storie, come quando un frastornato pescatore compie il viaggio più bello della sua vita, congiunto alle ali d’oro della sua Dea può volare anche lui, e immaginarsi di essere il volo stesso, fuori dal tempo. Molto meglio pensare così, meglio pensare che il pescatore sia diventato immortale su quel carro. Un sentiero su un carro alato e una follia troppo sicura in mezzo al petto, nell'eternità; un sentiero verso una caverna oscura, moribondo di una non goduta morte, nel resto del tempo.

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